L'Ottocento.

Giovanni Verga

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FRANCESCO DE SANCTIS - VITA E LETTERATURA IN ITALIA DOPO IL 1860 - GLI ULTIMI ROMANTICI: PRATI, ALEARDI, NIEVO

ROMANTICISMO E NATURALISMO IN LIGURIA E IN PIEMONTE - TRADIZIONE E RIVOLUZIONE - L'IDEALISMO VENETO - IL REALISMO IN TOSCANA

GIOSUE' CARDUCCI - SCRITTORI ROMAGNOLI - POETI ROMANI - LA LETTERATURA NAPOLETANA

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CULTURA - LETTERATURA - L'OTTOCENTO

IL VERISMO IN SICILIA

La letteratura verista trovò nel mezzogiorno d'Italia un terreno fecondo. Essa germogliò rigogliosamente e diede i migliori frutti in Sicilia (col Verga, il Capuana e il De Roberto) mentre trascurabile apparve l'apporto letterario delle altre regioni meridionali. Il romanzo verista - che derivava dal romanzo naturalista francese di Zola e di Flaubert - Si propose di osservare la vita reale con fotografica fedeltà e con ostentata oggettività. Ma, nei suoi risultati più notevoli, finì col cadere in contraddizione con se stesso. Possiamo veramente chiamare fredda, impersonale e obiettiva un'arte, che quando non ebbe addirittura intenti di propaganda sociale e socialista, preferì comunque la rappresentazione degli aspetti più dolorosi e delle classi più umili? In realtà il verismo fu un'espressione d'arte legata alla vita economica e politica del tempo, e pur facendo parte del grande movimento positivista europeo, soddisfece al nostro bisogno di liberarci dai pregiudizi e dalle ingiustizie sociali nella vita, e dall'enfasi aulica e dalla vuotezza interiore nell'arte. Il primo cronologicamente a segnare e a sentire le nuove tendenze, verista nell'arte, fu LUIGI CAPUANA nei volumi di novelle Le appassionate e Le paesane e nel romanzo Il marchese di Roccaverdina. Abbiamo citato i libri più significativi tra i moltissimi che il Capuana scrisse, sospinto dalla versatilità dell'ingegno, dalla febbre di curiosità e di ricerca e dalla passione culturale a disperdersi in diverse attività dello spirito a volte antitetiche e opposte, dalla poesia al teatro dialettale, dal saggio critico allo studio scientifico. Oggi della spaventosa mole di lavoro del Capuana resta assai poco: alcuni tipi e caratteri delle novelle scolpiti con una vigoria che anticipa l'arte verghiana, talune intelligenti verità nel campo critico, dove il Capuana precorse il movimento crociano della sensibilità intuività contro il processo accademico della critica storica, qualche limpida pagina di letteratura per l'infanzia. Forse il merito maggiore del Capuana fu quello di aver spinto il Verga a tornare sui propri passi, ad abbandonare il genere romantico e salottiero della prima maniera e a ricercare nelle radici della terra siciliana la sostanza profonda della sua arte. VERGA stava aldilà delle dottrine estetiche. Tuttavia in quel crogiolo teorico e artistico del verismo che fu la Catania dell'ultimo ottocento, tra le ricerche sistematiche del Capuana e le speculazioni filosofiche del De Roberto, Verga non poteva restare estraneo a quelle che erano le correnti polemiche letterarie del tempo e dell'ambiente, che influirono non poco al colpo del resto della sua produzione giovanile e alla nascita dell'opera rupestre e terriera onde sorse il capolavoro dell'arte verista in Italia.

Giovanni Verga

Se infatti il Verga che stava per infranciosarsi nei romanzi della prima maniera non avesse fatto macchina indietro e non fosse tornato alla sua terra e alla sua vera forza istintiva di artista di razza e non si fosse rifatto il gusto di prosatore e di novelliere alle fonti classiche della nostra tradizione e sugli elementi fondamentali della tecnica manzoniana, oggi ci resterebbero le romanticherie dei Carbonari, della Peccatrice, della Storia di una Capinera, di Tigre reale, di Eva, o giù di lì; ma non avremmo La vita dei campi e Le novelle rusticane; non avremmo sopratutto I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo. Nei Malavoglia Verga narra la storia di una povera famiglia di pescatori di Aci Trezza che, per effetto delle disgrazie e della irrequietezza ambiziosa di uno dei suoi membri, si sfascia e discende ancora più in basso nella scala sociale. E' stato detto che il respiro lirico dei Malavoglia è omerico. Forse perché il vero protagonista di questo romanzo, come nell'Odissea, è il mare. Ma forse ancora, e meglio, perché Verga, come Omero, nel suo obbiettivismo narrativo condensa i più commossi sensi dell'umano dolore. La poesia è nelle stesse radici delle cose. Nessun commento esteriore, nessuna orchestrazione soggettiva degli elementi lirici. Manca la bella pagina d'effetto, l'astuzia letteraria della sinfonia descrittiva, il tono compiaciuto dell'esecuzione rara, ricercata e perfetta. Semplice e chiaro, scabro e preciso, cupo e desolato, il mondo verghiano è denso dell'imponderabile mistero della vita, senza accorgimenti e riflessioni di natura filosofica. Nessuna traccia intellettualistica, nessun residuato di schematismi ideologici, nudo, integro, compatto, il blocco di questa materia narrativa ha la incandescenza e la mobilità della vita cosmica. Anche Mastro Don Gesualdo, secondo romanzo del ciclo dei Vinti, è la storia di una disfatta. Un muratore siciliano, Gesualdo Motta, più fortunato dei Malavoglia, è giunto a conquistare attraverso sofferenze e avversità, la ricchezza, ma a che gli giova ciò? Egli finirà col morire quasi abbandonato e le sue ricchezze saranno scialacquate dalla figlia e dal genero. Rispetto ai Malavoglia, il secondo romanzo ha più impeto, più drammaticità, maggiore varietà di ambienti. Esso, per la sua tecnica costruttiva equilibrata e potente, per il suo linguaggio duttile e incisivo, per la sua intonazione epico-tragica, dimostra come lo scrittore fosse giunto all'acme della sua forza creativa. Eppure proprio in quegli anni il Verga abbandonava l'arte e la letteratura. Il suo distacco fu improvviso. Doveva completare il ciclo dei Vinti e lo lasciò incompiuto. Mancavano ancora tre volumi: La duchessa di Leyra, L'Onorevole Scipioni e L'Uomo di Lusso. Si è pensato ad una crisi di coscienza d'arte, a un essiccamento di vena, ad una difficoltà della materia, ad una stanchezza senile. Pare che lo stesso Verga esponesse ad amici gli ostacoli che si opponevano all'intuizione e alla ricostruzione del mondo aristocratico, dove il convenzionalismo, sovrapponendosi alla natura impedisce il fissaggio dei caratteri. E sarà anche vero. Tuttavia si stenta a credere che un uomo giunto alla maturità e al possesso assoluto dei mezzi creativi si areni di colpo, dinanzi ad impedimenti di questo genere; e proprio dinanzi ad un mondo che da giovane (e spesso felicemente) ha reso negli ancor vivi personaggi di Tigre reale, di Eva, del Marito di Elena; dinanzi ad un mondo, infine, che è già per certi lati, mirabilmente colto in alcuni capitoli del Mastro Don Gesualdo. No, il Verga non voleva confessare a sé medesimo, le profonde, remote cause, che lo avevano allontanato dall'arte. Il senso morboso, della dignità e del riserbo è un po' nell'antico retaggio della nostra razza. Il siciliano con tutte le varianti inevitabili è tipicamente cupo, restio, impressionabilissimo, egocentrico. Sotto le apparenze morbide, cedevoli, remissive, c'è un'irriducibile fierezza che lo fa muro. Il siciliano è per lo più, un testardo timido; ed ha dei testardi lo sprezzante silenzio e dei timidi le audacie inconsulte. Il mondo verghiano è popolato di personaggi di cosiffatta natura: gente tenace e caparbia, capace di soffrire e tacere. Anche la rinunzia è la forma di una segreta superbia. I Vinti di Verga non sono naufraghi abulici della vita, sono invece rudi ed ostinati superstiti di una battaglia perduta. Questi personaggi riflettono il carattere dello scrittore. Il siciliano tace ma non dimentica, Verga tacque il suo dolore e il suo risentimento, quando si vide sacrificato dinanzi alla facile gloria conquistata da altri (vedi d'Annunzio) con forme e modo, che alla sua esigenza spirituale e creativa dovevano apparire insinceri e intellettualistici. Verga non dimenticò l'onta subita quando, dopo un ventennio di silenzio e d'oblio, l'Italia parve ravvedersi dell'errore. Un nordico, probabilmente, avrebbe reagito, polemizzato, discusso, il siciliano rientra in se stesso e si corazza di sdegno. Il fenomeno è maggiormente spiegabile se si considera che il Verga non fu un letterato, nel senso professionale della parola, sibbene un artista di nativa e medianica genialità. Il che giustifica meglio il fatto che egli, abbandonata l'arte non sia rimasto impigliato nel vizio letterario, come avviene a quegli scrittori in cui, estinto lo stimolo creativo, permane l'abitudine del mestiere. Legato da fraterna amicizia al Verga fu anche FEDERICO DE ROBERTO, nato a Napoli ma vissuto quasi costantemente a Catania e perciò considerato, a ragione, come siciliano. Ebbe il De Roberto viva dottrina scientifica e storica e gusto di stilista e di narratore. Scrupoloso, metodico, esattissimo e geniale ad un tempo, negli argomenti prescelti portò sino all'inverosimile la paziente precisione dei documenti e delle ricerche. L'opera maggiore del De Roberto è il romanzo I viceré, nel quale è ricostruita fantasiosamente, e in alcuni dettagli cronisticamente, la vita della Catania delle ultime propaggini spagnolesche, dell'avvento nuovo che afferma i diritti dell'intelligenza, i valori dello spirito e il trionfo dell'italianità. E' un'opera d'arte di colore locale, dove gli elementi etnici e ambientali hanno un tipico rilievo tutto isolano che dimostra quanto ormai il De Roberto avesse assorbito dalla terra, dalla storia e dalla natura siciliana. Mentre nel campo della narrativa la Sicilia si poneva all'avanguardia del movimento letterario italiano, in poesia essa rimaneva fermamente ancorata ad una forma classicista o neoromantica in cui il frequente contenuto naturalistico o addirittura socialistico non riusciva ad esprimersi efficacemente, come può osservarsi soprattutto in Giuseppe Aurelio Costanzo e in MARIO RAPISARDI. Tuttavia sarebbe ingiusto l'affermare che il Rapisardi fu sempre manierato e prolisso, pomposo e magniloquente, arcaico e arcadico, victorughiano e frugoniano. Se è vero che la materia scelta e la natura dei poemi e il tono epico, didascalico e gnomico della sua arte lo ricacciarono nelle antiche forme e nell'usata fraseologia, non bisogna dimenticare che quando si ritrovò di fronte alla sua profonda ed intima commozione umana, egli, esprimendosi con più nuda schiettezza, riuscì a darci un'eco della sua naturale voce. In molti squarci del Giobbe, in alcune delle Poesie religiose, e in taluni Poemetti, il mistero della creazione non è più indagine scientifica, la natura non è semplice sfondo pittorico, e il canto stesso non è più sonoro rifacimento di altre musiche ma volo della fantasia nei cieli del finito e dell'infinito e grido sgomento dell'anima dinanzi agli abissi dell'Inconoscibile.

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VOCI DI SARDEGNA

In Sardegna il verismo ebbe uno sviluppo tardo ma notevolissimo. Le condizioni ancora feudali e patriarcali dell'isola trovarono, sul finire del secolo i loro poeti efficaci e commossi in Grazia Deledda e Sebastiano Satta, entrambi di Nuoro. La DELEDDA, in cui l'intento letterario non fu mai predominante, non fece del regionalismo per motivi teorici ma per un senso appassionato di amore alla terra natia e alle sue creature fosche e selvagge. Nei suoi libri migliori la scrittrice non ambì creare complesse trame ma si preoccupò di inquadrare e illuminare i personaggi in un paesaggio suggestivo e severo. Il mondo poetico della Deledda - che trovò le migliori realizzazioni nei romanzi: Elias Portolu, L'Edera, La Madre e Canne al vento - s'infulcrò attorno a sentimenti primordiali e a forze epiche, quali il sentimento religioso del focolare, il senso della famiglia e dell'onore. Da questi istinti e da queste forze aveva origine una sorta di tragica lotta tra il bene e il male, tra la colpa e l'espiazione. La scrittrice diede il meglio di se stessa quando partecipò intensamente alla sofferenza dei pastori e dei contadini, dei padroni e dei servi. Allorché più tardi, essa volle uscire dai temi sardi finì col fare opera fredda e stanca. Anche la poesia del SATTA, che nasceva da esperienze e predilezioni dialettali ebbe un forte sapore isolano. Il verismo e il socialismo influirono sull'autore dei Canti Barbaricini sospingendolo a cantare, senza enfasi, il dolore della gente di Barbagia, l'isolamento atavico della Sardegna, la selvaggia forza delle passioni isolane. La Deledda e il Satta sono, anche cronologicamente, le ultime figure della letteratura regionale e verista. In essi, che pur vissero oltre la grande guerra, è appena avvertibile, qua e là, il mutamento spirituale che si andava effettuando nei primi decenni del nuovo secolo.

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NOTE

FRANCESCO DE SANCTIS

Nacque a Morra nel 1817, morì nel 1883. Esiliato da Napoli nel 1848, insegnò letteratura a Torino, a Zurigo e dopo il 1860, a Napoli. Fu anche ministro dell'istruzione popolare. Opere critiche fondamentali: «Saggio sul Petrarca», «Saggi critici», «Nuovi saggi critici», «Storia della letteratura italiana». (1) Croce - Lett. della Nuova Italia.

ALEARDO ALEARDI

Nacque a Verona nel 1812, morì nel 1878. Soffrì il carcere dall'Austria per i suoi sentimenti patriottici. I suoi versi sono raccolti nel volume «Canti».

IPPOLITO NIEVO

Nacque a Padova nel 1831, morì nel 1861. Partecipò alla spedizione dei Mille. Opere: «Lucciole», «Amori garibaldini», «Angelo di bontà», «Confessioni di un italiano», ecc.

GIUSEPPE ROVANI

Nacque a Milano nel 1818, morì nel 1874. Il suo nome è legato esclusivamente al romanzo storico «Centoanni».

EDMONDO DE AMICIS

Nacque ad Oneglia nel 1846, morì nel 1908. Combatté a Custoza e a Roma, poi abbandonò l'esercito per dedicarsi alle lettere. Opere principali: «Spagna», «Olanda», «Marocco», «Costantinapoli», «La carrozza di tutti», «La vita militare», «Cuore» ecc.

GIUSEPPE GIACOSA

Nacque a Ivrea nel 1847. Fu rappresentato con successo anche all'estero. Le sue principali opere drammatiche sono citate nel testo.

EDOARDO CALANDRA

Nacque a Torino nel 1852, morì nel 1911. Opere: «Vecchio Piemonte», «Reliquie», «Bufera» ecc.

VITTORIO BERSEZIO

Nacque a Cuneo nel 1830, morì nel 1900.

GIOVANNI CAMERANA

Nacque a Casal Monferrato nel 1845. La sua opera è raccolta in un solo volume «Versi».

ARTURO GRAF

Nacque ad Atene nel 1848, morì a Torino nel 1913. Insegnò letteratatura italiana all'Università di Torino. Principali opere di poesia: «Dopo il tramonto», «Le rime della selva», «Le Danaidi», «Medusa».

EMILIO DE MARCHI

Nacque a Milano nel 1851, morì nel 1901. Tra i suoi romanzi migliori citiamo: «Demetrio Pianelli», «Arabella», «Col fuoco non si scherza», «Il cappello del prete»

CARLO DOSSI

(Alberto Pisani) nacque a Carteggio nel 1849, morì nel 1910. Fu anche diplomatico. Opere: «Altr'ieri», «Vita di Alberto Pisani», ecc.

GIAMPIETRO LUCINI

Nacque a Milano nel 1867; morì a Breglia nel 1914. Citiamo di lui il romanzo «Giampietro da Gore» e il volume di versi «Revolverate».

EMILIO PRAGA

Nacque a Milano nel 1862, morì nel 1875. Fra le sue raccolte di versi: «Tavolozza», «Penombre», «Fiabe e leggende», «Trasparenze», ecc.

VITTORIO BETTELONI

Nacque a Verona nel 1840, morì nel 1910. Opere: «In primavera», «Nuove Poesie», «Studi» ecc.

GIACOMO ZANELLA

Nacque a Chiampo (Vicenza) nel 1820, morì nel 1888. Opere: «Poesie», «Nuove poesie», «Studi», ecc.

VITTORIA AGANOOR

Nacque a Padova nel 1868, morì a Roma nel 1910. Fu allieva dello Zanella e moglie di Guido Pompilj che si uccise per dolore dopo la morte della moglie. Scrisse: «Leggenda eterna», «Nuove liriche».

RICCARDO SELVATICO

Nacque a Venezia nel 1849, morì nel 1901. Tra le sue commedie: «La bozeta de l'ojo», «I recini da festa», ecc.

GIACINTO GALLINA

Nacque a Venezia nel 1852, morì nel 1897. Tra le sue numerose commedie citiamo: «Le baruffe in farnegia» «El moroso de la nona», «Zente refada» «Oci del cuore», ecc.

GEROLAMO ROVETTA

Nacque a Brescia nel 1851, morì nel 1910. Opere: «Romanticismo», «Papà Eccellenza», «Due coscienze», «La baraonda», «Mater dolorosa», ecc.

ANTONIO FOGAZZARO

Nacque a Vicenza nel 1842, morì nel 1911. Opere principali: «Miranda» (poemetto) e i romanzi «Malombra», «Il mistero del poeta», «Piccolo mondo antico», «Piccolo mondo moderno», «Il Santo», «Leila». Il «Santo» fu messo all'indice dalla Chiesa.

FERDINANDO MARTINI

Nacque a Monsummano nel 1841, morì nel 1928. Fu poeta, critico, narratore e uomo politico. Opere. «Ricordi», «Nell'Africa italiana», ecc.

GUIDO MAZZONI

Nacque a Firenze nel 1852, morì nel 1943. Opere: «Poesie», «Esperimenti metrici» «Storia della lett. italiana dell'Ottocento».

ENRICO MENCIONI

Nacque a Firenze nel 1837, morì nel 1896. Opere: «Poesie», «Medaglioni».

GIUSEPPE CHIARINI

Nacque ad Arezzo nel 1833, morì nel 1908. Opere: «Ombre e figure», versi: «Lacrimae rerum».

RENATO FUCINI

Nacque a Monterotondo nel 1843, morì nel 1921. Opere principali: «Cento sonetti», «Le veglie di Neri», «All'aria aperta», «Napoli a occhio nudo», ecc.

GIOSUE' CARDUCCI

Nacque a Val di Castello in Lunigiana, il 27 luglio 1835. Insegnò lett. italiana all'Università di Bologna: Nel 1890 fu nominato senatore, nel 1906 ebbe il premio Nobel. Morì a Bologna nel 1907. Opere poetiche: «Juvenilia», «Levia Gravia», «Giambi ed Epòdi», «Rime nuove», «Odi Barbare», «Nuove odi Barbare», «Rime e Ritmi». Opere critiche: «Discorsi storici e letterari», «Dello svolgimento della letteratura nazionale», «Confessioni e battaglie», «Ceneri e faville», «Parini maggiore», «Parini minore», ecc.

OLINDO GUERRINI

Nacque a Forlì nel 1845, morì nel 1916. Fu bibliotecario alla Università di Bologna. Opere: «Postuma»,«Nuova polemica», ecc.

ENRICO PANZACCHI

Nacque ad Ozzano nel 1840, morì nel 1904. Opere: «Donne e poeti», «Lyrica», ecc.

PAOLO FERRARI

Nacque a Modena nel 1822, morì nel 1849. Opere teatrali: «La satira e Parini», «Il duello» ecc.

SEVERINO FERRARI

Nacque in S. Pietro Capofiume (Bologna) nel 1856, morì nel 1905. Opere: «Primavera fiorentina», «Il Mago», «Versi raccolti e ordinati».

GIOVANNI MARRADI

Nacque a Livorno nel 1852, morì nel 1922. Notissima la sua «Rapsodia Garibaldina».

ALFREDO ORIANI

Nacque a Faenza nel 1852, morì nel 1909. Opere principali: «Memorie inutili», «La lotta politica in Italia», «La rivolta ideale», ecc.

PIETRO COSSA

Nacque a Roma nel 1830, morì nel 1881. Fra i suoi drammi: «Nerone» «Messalina», «Mario e i Cimbri», ecc.

CESARE PASCARELLA

Nacque a Roma nel 1858, morì nel 1940. Esordì come pittore. Opere: «Villa Glori», «La scoperta dell'America», «Storia nostra», ecc.

SALVATORE DI GIACOMO

Nacque a Napoli nel 1860, morì nel 1934. Opere principali: «O Munasterio», «A San Francisco», «Assunta Spina», «Ariette e Sunette», ecc.

MATILDE SERAO

Nacque a Patrasso (Grecia) nel 1856, morì a Napoli nel 1927. Tra i suoi romanzi citiamo: «Addio amore», «Piccole anime», «La conquista di Roma», il «Paese di cuccagna», ecc.

LUIGI CAPUANA

Nacque a Mineo nel 1839, morì nel 1915. Opere: «Giacinta», «Il marchese di Roccaverdina», «Le appassionate», «Le paesane», «Studi sulla letteratura contemporanea», ecc.

GIOVANNI VERGA

Nacque a Catania nel 1840, morì nel 1922. Opere: «Storia di una capinera», «Eva», «Tigre reale», «Eros», «Vita dei campi», «Novelle rusticane», «Vagabondaggio», «I Malavoglia», «Mastro don Gesualdo», ecc.

FEDERICO DE ROBERTO

Nacque a Napoli nel 1866, morì a Catania nel 1927. Opere: «Il viceré», «L'illusione», «Spasimo», «Documenti umani», «Gli amori», «Le donne e i cavalier», ecc.

MARIO RAPISARDI

Nacque a Catania nel 1844, morì nel 1912. Fu professore di letteratura italiana nell'Università di Catania. Opere: «Lucifero», «Giobbe», «Poesie religiose», «Giustizia», «Poemetti», ecc. Notevoli le sue traduzioni da Shelley e da Lucrezio.

GRAZIA DELEDDA

Nacque a Nuoro nel 1875, morì a Roma nel 1935. Premio Nobel 1926. Romanzi principali: «Cenere», «L'incendio nell'oliveto», «Elias Portolu», «Canne al vento» ecc.

SEBASTIANO SATTA

Nacque a Nuoro nel 1867, morì nel 1914. Opere principali: «Canti barbaricini», ecc.

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29 Lug. 2025 11:35:31 am

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